Yogurt “classico” o yogurt greco?
18 Gennaio 2019Alimentazione ed Ipotiroidismo
22 Febbraio 2019Tempo di lettura stimato: 2 minuti
In occasione del convegno ISENC (NEWCASTLE 2018) abbiamo avuto modo di confrontarci con i maggiori esponenti della ricerca scientifica e scienza applicata sul campo della nutrizione sportiva su un tema ormai al centro dell’attenzione da anni: impatti positivi e negativi di una o l’altra strategia con cui viene modulato l’apporto glucidico (apporto di carboidrati).
I pareri in merito sono contrastanti, poiché gli effetti di una o l’altra strategia espongono ad adattamenti sia positivi che negativi.
Un approccio a basso apporto glucidico (riduzione dei carboidrati) potrà essere funzionale per un atleta endurance in più situazioni e in particolare nei periodi in cui il target sarà quello di migliorare il metabolismo lipidico, la composizione corporea e/o la sensibilità insulinica.
Ovvio che da qui possono derivare una serie di strategie per generare adattamenti specifici, per affrontare una competizione supercompensando periodi di deplezione, ecc…
Dall’altro lato però dati mostrano chiaramente come gli adattamenti derivanti da carichi di allenamento intenso e importanti in termini di volume, vengono compensati meno quando la performance viene sostenuta da regimi a basso apporto glucidico.
Inoltre, è stato dimostrato come l’economia dell’esercizio fisico (dati relativi a marciatori) si riduca notevolmente quando il target viene spostato sull’ossidazione lipidica rispetto a quella glucidica.
Esporre un atleta in cronico a regimi sbilanciati può per tanto pregiudicare la performance, ma utilizzare in maniera funzionale uno o l’altro approccio potrà invece indurre adattamenti positivi in ogni situazione migliorando, potenzialmente, tutti gli aspetti legati alla condizione dell’atleta.
Articolo scritto in collaborazione con il Dott. Leonardo Cesanelli.
In occasione del convegno ISENC (NEWCASTLE 2018) abbiamo avuto modo di confrontarci con i maggiori esponenti della ricerca scientifica e scienza applicata sul campo della nutrizione sportiva su un tema ormai al centro dell’attenzione da anni: impatti positivi e negativi di una o l’altra strategia con cui viene modulato l’apporto glucidico (apporto di carboidrati).
I pareri in merito sono contrastanti, poiché gli effetti di una o l’altra strategia espongono ad adattamenti sia positivi che negativi.
Un approccio a basso apporto glucidico (riduzione dei carboidrati) potrà essere funzionale per un atleta endurance in più situazioni e in particolare nei periodi in cui il target sarà quello di migliorare il metabolismo lipidico, la composizione corporea e/o la sensibilità insulinica.
Ovvio che da qui possono derivare una serie di strategie per generare adattamenti specifici, per affrontare una competizione supercompensando periodi di deplezione, ecc…
Dall’altro lato però dati mostrano chiaramente come gli adattamenti derivanti da carichi di allenamento intenso e importanti in termini di volume, vengono compensati meno quando la performance viene sostenuta da regimi a basso apporto glucidico.
Inoltre, è stato dimostrato come l’economia dell’esercizio fisico (dati relativi a marciatori) si riduca notevolmente quando il target viene spostato sull’ossidazione lipidica rispetto a quella glucidica.
Esporre un atleta in cronico a regimi sbilanciati può per tanto pregiudicare la performance, ma utilizzare in maniera funzionale uno o l’altro approccio potrà invece indurre adattamenti positivi in ogni situazione migliorando, potenzialmente, tutti gli aspetti legati alla condizione dell’atleta.
Articolo scritto in collaborazione con il Dott. Leonardo Cesanelli.